
A novembre ho partecipato a un ritiro di meditazione vipassana. Tre giorni, quaranta persone, un monaco buddista, nobile silenzio, due pasti al giorno (colazione e pranzo), una spiaggia su cui camminare, nessuna distrazione, niente smartphone, sveglia alle 6.
Tutto bene.
Guardavo quel monaco impassibile durante le sedute, nel suo abito fatto da un lenzuolo di un marroncino improponibile. Niente lo distraeva. Sembrava fatto per stare seduto lì, a godersi il suo respiro.
Chissà se anche a lui, come a me oggi, capitano le giornate in cui no, non ne ho voglia di sedermi con la schiena dritta, nel silenzio, o peggio, nel rumore della città che arriva da fuori in questa stanza. Se anche lui si sveglia con la mente piena di pensieri, di problemi burocratici, una mail che non ha mandato, un pagamento che non sa come fare, un problema con un’amico, una decisione difficile da prendere… e vorrebbe stare nel letto, sotto le coperte, a sonnecchiare. Oppure si alza e cerca di mettersi subito al lavoro sulle cose, non riesce proprio a stare seduto, perché deve risolvere tutti quei problemi prima di sedersi a respirare. Tutti questi pensieri quotidiani distraggono.
E poi mi dico: certo che anche a lui capita, è un essere umano!
Ma il dubbio che si sieda a respirare comunque, nonostante tutto, mi rimane.
Inspiro, espiro. E mi metto a lavorare per risolvere i miei problemi.
Questo è quello che riesco a fare oggi.
Tutto bene.