“Mi ribello a tutto ciò”
Era il 1998, forse il 1999, ed ero al liceo. Scrivevo, scrivevo e scrivevo… continuamente e compulsivamente. Diari, poesie, flussi di coscienza. Avevo anche una complice, la mia amica Anna. Con lei scambiavamo scritti e impressioni. Adolescenti, spaziavamo dalle pene amorose a quelle esistenziali. Ci bastava scrivere per stare meglio, per avere la sensazione che tutto quel tormento interiore stesse dando vita a qualcosa.
Arrivammo a scrivere sulle scarpe; allora c’erano le Dr. Marteens (per chi non poteva permettersele c’erano le imitazioni…) e mi ricordo di quando camminavamo fiere nei corridoi e nel cortile del liceo classico più fighetto di Cagliari destando non ho capito bene ancora oggi se l’ammirazione o il ribrezzo dei nostri compagni di scuola.
E poi una sera concepimmo questa t-shirt su cui Anna scrisse “Mi ribello a tutto ciò”, che era una nostra frase topica, da noi spesso declamata. Non ricordo bene a cosa ci stessimo ribellando nello specifico, probabilmente a tutto, come molti adolescenti. Ma oggi, riguardandola e indossandola, non mi interessa tanto ricordare questo. Mi interessa ricordare di come fossero profondamente legati la ribellione a uno stato d’essere e l’atto creativo.
Da qualche tempo rifletto sulla creatività come atto ribelle e disobbediente.
quasi una certezza, ormai, per me: l’atto creativo è un atto di ribellione.
E viceversa: la disobbedienza è un atto creativo.
Probabilmente sono già stati scritti in merito trattati filosofici, politici, artistici e sociali da personalità di spicco, che io non ho letto. Ciò che leggete è frutto delle mie esperienze di scrittura personale e di laboratorio, e delle riflessioni scaturite dal mio vissuto.
Durante i laboratori Writefulness fornisco ai partecipanti le regole da rispettare. Mi è capitato di osservare come ogni partecipante reagisse alle regole imposte in maniera differente. C’è stato chi, pur di scrivere, ha disobbedito, cercando la condizione meno avversa per il proprio atto creativo. L’urgenza di scrivere andava oltre le regole. Portare a termine la missione era la cosa più importante, in quel momento. Al diavolo le regole, io devo scrivere!
C’è stato anche chi ha rinunciato. Chi non si è ribellato alle imposizioni, e non è riuscito a creare.
Per esempio, nel corso di uno “Scrivere Luoghi” a Torino, ho scelto come location la Chiesa della Grande Madre. Avevo già visitato quel luogo da sola, una mattina infrasettimanale, e mi aveva profondamente toccato. Deserta, silenziosa, accogliente, materna.
Quando ci recammo lì per il laboratorio, di domenica, mi accorsi che non avevo tenuto conto di una cosa: la Santa Messa. Me ne fregai. Dissi ai partecipanti: entrate in chiesa e scrivete per 30 minuti.
Erano tutti abbastanza perplessi. Molti non se la sentivano di entrare, perché c’era un rito in corso e sembrava una mancanza di rispetto.
Alla fine, pochissimi rimasero fuori, convinti che dentro non sarebbero mai riusciti a scrivere.
La maggior parte di noi entrarono. Immaginate dieci persone che entrano in una chiesa durante la funzione, si siedono sparpagliati fra i fedeli, aprono il proprio quaderno e cominciano a scrivere. Abbiamo superato la vergogna, abbiamo superato un limite. Abbiamo fatto una cosa che, solitamente, “non si fa”. Qualcuno, candidamente, al momento della condivisione ha dichiarato “Io non sono riuscito a scrivere, mi sono ritrovato ad ascoltare l’omelia del sacerdote”. Alla mia domanda “Perché non siete usciti pur di scrivere?” hanno risposto “Ci hai detto che dovevamo stare dentro”. Al che ho esclamato “Potevate disobbedire! Disobbedite! Anche a voi stessi! Superate i limiti, sia quelli che vi vengono imposti che quelli che vi auto-imponete!”
Dove voglio arrivare?
Al punto da cui sono partita: la nostra anima creativa, per palesarsi, deve chiamare in causa la nostra anima ribelle.
A che cosa? A qualsiasi cosa. Alle regole, quelle imposte e quelle autoimposte; agli schemi, sociali o personali; alle credenze. Infine, alla morte. L’atto creativo dell’essere umano arriva sempre dal desiderio di sconfiggere e lottare contro la morte. Dare la vita a qualcosa (o a qualcuno, nel caso di un figlio) significa lottare contro la morte. E se è vero che la morte è una regola alla quale non possiamo sottrarci, la pulsione verso la sua sconfitta genera nella maggior parte dei casi, bellezza.
Genera Arte.
P.s: Non credo sia un caso che io abbia scritto e pubblicato questo nel giorno della Festa della Liberazione. Ne approfitto per farvi gli auguri e per ricordarvi che la Libertà nasce dal nostro universo interiore, ma spesso ha bisogno di condizioni esterne limitanti per esprimersi al meglio.
