Vita

#scrivereinquarantena Terzo Pensiero

Ho deciso di osservare il nobile silenzio per l’intera giornata di oggi. Significa rinunciare alla comunicazione verbale con tutti coloro che conosco, vicini e lontani. Salvo, naturalmente, casi di emergenza.

Perché ho deciso questo? Perché sento l’esigenza di andare ancora più a fondo dentro di me, cosa che questo periodo di “ritiro forzato” sta già di per sé facilitando.

Muta e, in qualche modo, cieca. Cieca nel non sapere cosa accadrà domani, nel non poter vedere molte cose distanti da me, perché il mio spazio si è ridotto. Hanno posto dei limiti ai miei spostamenti, da qui una riduzione dello spazio che posso occupare.

Videochiamate di gruppo, chiamate silenziose ma piene di emozioni con il mio amato, telefonate accorate con amici lontani, chiacchierate sommesse e lente con Stefano, meraviglioso amico e fratello con cui sto condividendo questo periodo, comunicazioni sulla natura di questo fenomeno in corso… silenzierò tutto questo per 24 ore. Perché ne sento proprio il bisogno. Il bisogno di raccogliere l’energia del verbo per un giorno intero. Per poi vedere cosa si trasforma durante, dopo, dentro e fuori di me.

La musica non esisterebbe senza il silenzio.

Ieri ho avuto l’impressione di partecipare a uno dei miei lab Writefulness, e ho sorriso a questo pensiero. Ho sorriso mentre riprendevo in mano il mio romanzo abbandonato da tempo perché non avevo mai né testa, né tempo per scriverlo. Adesso ho entrambe.

In silenzio oggi mi prenderò cura del mio spazio esterno e interno, del mio giardino, delle mie nuvole.

Lucifero

Vita

Diario di Meditazione con la m minuscola (IV)

Zafu nuovo!


Finalmente ho acquistato uno zafu nuovo, che mi consentirà di assumere la giusta postura per la pratica di zazen.

Proprio oggi lo inauguro, durante la pratica domenicale, insieme al mio piccolo grande sangha. Mi siedo e incrocio le gambe in un mezzo loto.

Mentre il maestro suona il legno, cerco la posizione. Ops, lo zafu nuovo è molto più alto di quello vecchio! Dondolo un po’ sulle natiche. Mi sposto più avanti. Ahia, mi tira la coscia sinistra così. Cerco di appoggiare le ginocchia allo zabuton per formare un triangolo col bacino. Aiuto, quasi scivolo dalla seduta. Il ventre è piatto. Bene, la posizione dovrebbe quindi essere corretta. Il pube un po’ in avanti. Forse un po’ troppo. Respiro e scivolo ancora. Se continuo così cado. Suona la campana.

Quasi mi prende il panico. Mi fa male il coccige. Non importa. Percepisco la punta della lingua che tocca la radice degli incisivi. Mi concentro su quella. E se cado? Se respiro, cado. Ma non posso non respirare!

Va bene, se cado pazienza. Respiro e… non cado. Mi assesto ancora. Mi tira sempre la coscia sinistra, mi sento tutta storta. Ho la testa dritta verso l’alto e il mento indentro, molto bene, ottima posizione. Ma se guardo verso il basso, cosa che devo fare, mi sembra di abbassare anche la testa. Invece no, la testa è sempre dritta, solo il mio sguardo è basso. Rilasso le spalle, rilasso le braccia, rilasso le cosce, aiuto, sto per cadere… ma ancora non cado.

Dove sono i miei pensieri? Sono nel mio corpo.

Alla fine non sono caduta. Sarà stata una questione di equilibrio? O di fiducia nell’esistenza? O di perseveranza? Magari di queste tre cose insieme.

Durante la seconda sessione seduta ho trovato la posizione perfetta.

Così perfetta e comoda che quasi mi ci addormentavo…

Vita, Writefulness

Diario di Meditazione con la m minuscola (II)

In fondo non siamo così speciali come crediamo. Ognuno di noi ha una ferita dell’infanzia che si porta appresso come una copertina di Linus. È questa ferita che brucia ancora a farci sentire così speciali, goffi, inadeguati, incapaci, pieni di vergogna, debolezze, ma bellissimi, diversi dagli altri, forse migliori? Unici? Quella ferita è del nostro Ego. E il nostro Ego ama quella ferita, la protegge, la alimenta.

Perché ha paura che senza quella ferita non sarebbe più lo stesso, non avrebbe più la propria identità. L’Ego ha paura di morire, senza quella ferita.

Ma se il nostro Ego interpellasse il nostro Essere, questo gli direbbe che ascoltando davvero quella ferita e prendendosene cura, essa diventerebbe una meravigliosa cicatrice di guerra.

E allora, forse, raggiungeremmo una piccola oasi di pace, una tregua.

È normale cercare di mettere da parte il proprio Ego quando si intraprende un percorso “spirituale”. Ma, per come la vedo io, non vi è errore più grande, perché è come mettere la testa sotto la sabbia.

Vita, Writefulness

Diario di Meditazione con la m minuscola (I)

Molti pensano che la meditazione sia solo una cosa seria o che comunque non lasci spazio alla risata e al divertimento.

Beh, questa mattina, durante la mia abituale pratica, ho avuto la prova del contrario.

Seduta nel mezzo loto, fissavo il muro con gli occhi socchiusi, tutta intenta a osservare il mio respiro. Entra, narici, pancia, mi riempie fino al primo chakra,

che bello, torna su, esce, narici…

Dopo qualche minuto mi rendo conto che la mia mente sta ragionando se mi convenga di più uscire per passare

dal consulente del lavoro e poi mandare la mail ad Abbanoa oppure il contrario.

Eh, no! Ok, mi dico, non sgridarti! Ora, con molta gentilezza, fai passare questi pensieri e torna sul respiro. Senza giudicarti… falli passare. Eccoli che passano, come un gregge. Di pecore. Rumore di campanacci. Io sono il pastore. Oppure no, sono in macchina, in campagna, e con molta pazienza guardo queste pecore passare (dai, a tutti è successo almeno una volta!) per poter andare avanti sulla mia strada. Sento distintamente il belare e lo scampanare, sempre più forte, e vedo queste pecore bianche passare davanti a me, copiosamente.

Scoppio a ridere.

Davvero stavo immaginando i miei pensieri come se fossero pecore e aspettando che attraversassero la strada e andassero via?

Top!